Il Garum, la salsa degli antichi romani nel libro di Nocca

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Giuseppe Nocca
Giuseppe Nocca è il secondo da sinistra

“Garum. Produzione ecosostenibile e filiera alimentare della salsa di pesce nell’antichità”. È il libro del professore Giuseppe Nocca nel quale descrive l’abitudine alimentare e produttiva a Roma e Pompei

POMPEI. Al ristorante archeo-esperienziale Caupona di Pompei si è parlato di garum. La famosa salsa di pesce che per gli antichi Romani e Pompeiani era davvero insostituibile a tavola: era aggiunta su tantissimi alimenti, talvolta anche sui dolci, come condimento o per insaporire la pietanza con il suo gusto marcato. L’occasione è stata la presentazione del volume “Garum. Produzione ecosostenibile e filiera alimentare della salsa di pesce nell’antichità” (ed. Arbor Sapientiae, collana di Archeonutrizione) del professore Giuseppe Nocca, alimentarista e cultore della materia antica.

Nocca: “Era opinione diffusa che il garum fosse una salsa sgradevole e marcescente. Oggi non sarebbe riproponibile”

“Ancora sconosciuta a molti questa salsa di pesce è stata la principale protagonista della cucina romana”. Ha spiegato il professore Nocca. “Ha dominato in tutte le pietanze, dall’antipasto al dolce, secondo un gusto oggi non più riproponibile. Molto diffusa era l’opinione che questa salsa era quanto di più sgradevole e marcescente si potesse ingerire, poiché realizzata con interiora di pesce. Questo luogo comune era già condiviso da alcuni autori classici. La denominazione di “garum” individua in modo generico tutta una filiera ittica che include molte produzioni che vanno dal pesce in tranci salato (“tarichos”), alle salamoie (“muria”), al vero e proprio “garum”, al “liquamen” fino al residuo solido del garum noto come “allec”. I romani avevano ereditato il gusto per le salse di pesce dalla vicina Grecia. In realtà la tecnologia di produzione era fenicia, ma l’origine delle salse di pesce è da ricercare sulle coste dell’estremo oriente”.

Ma di cosa era fatto il garum?

La ricetta prevedeva numerose varianti – ha raccontato Giuseppe Nocca durante la presentazione del suo libro – La sovrapposizione regolare di tranci di pesce, sale ed erbe aromatiche in strati posti poi a macerare al sole e, solo in una fase successiva, rivoltati con dei remi. La salagione di un substrato acquoso, quale erano i tranci di pesce, comportava alla fine del processo una separazione di un sedimento solido (“allec”) dal liquido denso e scuro (“liquamen”), ricco di proteine idrosolubili, sale e fitocomposti provenienti dalla infusione delle erbe. La ricetta di Marziale include anche la cottura del liquido al fine di concentrarlo fino a ridurne il volume iniziale quasi di un terzo. Questo liquido sciropposo, decisamente acido, era ricco di acidi grassi omega-3 con uno spiccato sapore di brodo poiché ricco di glutammato”.

Il Garum diede vita ad una vera e propria filiera produttiva. A Pompei vi era un’officina che lo imbottigliava e commercializzava

Per i Romani il Garum fu importante anche dal punto di vista economico, visto che la sua produzione e commercio diedero luogo ad una vera e propria filiera produttiva, studiata nei minimi dettagli per essere ecosostenibile. Molto rinomato era anche il garum prodotto a Pompei, sebbene l’officina di produzione fosse collocata nel pieno centro della città con un limitato sviluppo dei suoi ambienti. In questo modo non si potevano commercializzare significativi volumi di produzione. Secondo l’ipotesi di Nocca l’officina rinvenuta a Pompei, più che alla vera e propria produzione di garum, era dedita all’imbottigliamento e al commercio della salsa. Probabilmente era ottenuta mescolando tra loro garum di varia origine. Insomma, come diremmo oggi, Pompei aveva il suo “blend” esclusivo, che era richiesto e apprezzato in tutto il Mediterraneo.

Nella nuova Pompei c’è Caupona, un ristorante che ripropone ricette liberamente ispirate agli usi di 2000 anni fa

La presentazione del libro del professore Giuseppe Nocca è stata l’occasione anche per gustare il menù “antico” del ristorante archeo-esperienziale Caupona, ovvero una serie di portate liberamente ispirate alle ricette degli antichi preparate dallo chef Giovanni Elefante.

Carota, zucca, carciofo, oltre alle carni di gallina faraona e di maiale. Questi sono i sapori “antichi” del menù pensato per chi intende calarsi completamente, anche attraverso il palato, nell’atmosfera suggestiva di una tipica locanda pompeiana di duemila anni fa. Caupona è il primo ristorante archeo-esperienziale ispirato alla città distrutta dal Vesuvio nel 79 d.C., dove mangiare diventa un’immersione negli usi e nei costumi della Pompei antica.

Tutto è stato studiato per riprodurre, nei minimi particolari le caratteristiche di una locanda e di una casa di epoca romana”. Ha spiegato il patron del locale, Francesco Di Martino. “L’accogliente giardino si rifà a quello di una domus, con una fontana zampillante circondata da cipressi, viti, rosmarino, aranci e limoni; sulle pareti campeggiano prezziari (in assi e sesterzi). Poi ci sono graffiti e scritte elettorali che ricalcano quelle di una tipica osteria pompeiana. L’interno riprende il Termopolio di Vetuzio Placido e la bellissima Domus di Marco Lucrezio Frontone”.

Cibi e bevande, ispirati alle ricette di autori del passato come Apicio, Columella, Trimalcione, inoltre, sono serviti in piatti e coppe di terracotta da personale in abiti d’epoca: il tutto per rendere l’esperienza ancora più unica e coinvolgente.

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